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sabato 22 novembre 2008

dedicato a virgh

la cartolina è arrivata.

L'ho trovata...

...nel secchio dell'immondizia...

:-)

varie ed eventuali

negli ultimi giorni la mia routine, anzi il mio rito sacro di farmi il bagno con bagnoschiuma - profumato a seconda dell'umore - e candele ha subito una modifica, o per meglio dire un ampliamento. Una copa de vino tinto.

E mentre aspetto che smilza mi chiami per dirmi che è pronta per uscire mi sono scolata mezza bottiglia.

Scogliera piripi

giovedì 20 novembre 2008

[continuando] coinquilinando

Le prime coinquline della mia vita vivevano in una casa degli anni cinquanta in un quartiere triste di Milano, palazzo di 6, 7 piani o più. Noi eravamo al secondo.[...]
Coinquilina-col-nome-biblico, minuta e alla moda, era una donna emanciapata. La madre l'aveva portata dal ginecologo a 16 anni per farle prescrivere la pillola. Aveva conosciuto il fidanzato in Costa Brava, il suo luogo d'origine, quando lui era andato lì in vacanza con gli amici. E da lì si erano innamorati. E avevano fatto l'erasmus ciascuno nella città dell'altro finché un bel giorno lei aveva detto al padre, produttore di turaccioli di sughero - che all'epoca mi sembrava un lavoro incredibilmente contadino -, che voleva andare a vivere a Milano. E il padre che la manteneva a Barcelona si piegò all'idea di mantenerla a Milano. Lei era fin troppo consapevole del coraggio che aveva avuto a trasferirsi nonché del valore del denaro. E sebbene di famiglia agiata, quando andavamo a fare la spesa al GS metteva nel sacchetto per la verdura un peperone, lo pesava, e poi ne aggiungeva altri due.
Credeva di avere in tasca la verità sul mondo. E su di me, anche.
A volte mi domando se la incontrerò di nuovo.

Coinquilina col nome chic aveva avuto un fidanzato nel suo paese, per vari anni, ma poi si erano lasciati. Il fidanzato era andata a trovarla mentre lei era lì. Comunque coinquilina col nome chic aveva due grandi amori. Gigi d'Alessio e Un posto al sole. È grazie (o per colpa) di coinquilina col nome chic che conosco la canzone che recita vulimm'c' cchiù ben' tutti i napoletani. Ed è così che ho scoperto le imperdibili avventure del biondo Alessandro Palladini.
Coinquilina col nome chic sopravviveva a botta di pasta al pesto già pronto e di piadine plasticose col prosciutto cotto. Il crudo non le piaceva. Non le piaceva il pesce e molte altre cose. Però nella sua credenza non mancavano mai le patatine fritte.
Poi coinquilina col nome chic aveva, o almeno ebbe in qui pochi mesi della nostra conoscenza, un altro amore. Si era presa una cotta colossale per un tipo che l'avrebbe probabilmente ignorata se lei non avesse mostrato interesse e disponibilità.

All'epoca io non ero come sono ora e per me già "fare l'amore" era una cosa mezza proibita, figuriamoci fare l'amore con qualcuno che lavora con te, che non ti ama, che conosci pochissimo, che se gli telefoni non ti risponde e che in più vuole farlo senza preservativo. Ma io non ho il nome chic. E nemmeno le scarpe leopardate.
Avevo però un fidanzato che non voleva che uscissi, e che se una sera non mi sentiva pensva fossi andata sotto una macchina, fossi stata rapita o lo avessi tradito.
E così avvenne, in quell'inverno milanese, che una sera che rossa milanese mi invità a cena da lei con suo marito e un loro amico, nonché mio collega, cdovetti affrontare la litigata più litigiosa della mia pluriennale relazione.
Fu così frustrante, così aberrante, così inutile e così incomprensibile (oltre che così doloroso) - mentre io mi sentivo incompresa - che innamorata com'ero e un po' stanca della condizione di fidanzatoemarginazione decisi di tornarmene a casa...

E il coinquilinaggio se acabò.

postilla: questo racconto è frutto dell'immaginazione. Fatti e persone sono inventati ed eventuali corrispondenze con la realtà vanno considerate casuali.

mercoledì 19 novembre 2008

Dentisti, ascensori e altre amenità

Il mio dentista è del 1950. Cinquantotto anni portati bene.

Nell'anticamera dello studio troneggiano, sulla parete con parati, due lauree. Una porta la data del 1974 ed è stata emessa dal Capo dello stato spagnolo, mentre l'altra è del 1977 ed è stata emessa dal re. Due momenti di storia nella vita di una persona. La dittatura e la liberazione. E il libero scorrere delle idee. E delle vite.

La settimana scorsa il dentista doveva devitalizzarmi un paio di denti e, anziché farlo lui stesso, ha delegato un giovane uomo, alquanto insignificante visto "in borghese" ma con un certo fascino alla George in ER con il camice verde mentre sedeva accanto alla macchina della morte e mi dava il benvenuto in maniera affabile.

Ho trascorso due ore e mezzo con le piccole mani di quest'uomo appena trentenne nella mia bocca, studiando ogni piccolo dettaglio della sua barba incolta, dei suoi occhi nocciola tendenti al verde, dei suoi nei, delle sue sopracciglia separate da peletti meno scuri e più corti. Ho sentito il suo respiro sul mio viso e ho guardato il suo sorriso soddisfatto mentre guardava sullo schermo del computer la radiografa che mostrava il risultato del suo lavoro, mentre sollevato mi diceva vaya molas que tienes, Ana.

L'esperienza mi ha lasciato una gran voglia di mani, sorrisi e cure amorose di chi capiva e sentiva il dolore, seppure non manifestato, di chi possa volere che io stia bene. Malinconia.

Ma il vuoto è stato presto riempito il giorno seguente dall'arrivo scoppiettante della mia sorella di destino dalla lontana Irlanda, che mi ha riempito le giornate, riscaldato il cuore, stimolato la mente. Che mi ha offerto gratuitamente il suo amore. E la sua esilarante compagnia.

Ma… alla sua partenza il vuoto era ed è ancora più enorme.

Lunedì al ritorno dal lavoro ero di nuovo sola e la malinconia ha invaso il mio cuore, mentre sola soletta, tornavo a piedi dalla piscina, fantasticando del mio vicino occhio luminoso (come Pallade Atena).

Arrivare al portone di casa. Vedere la freccia rossa rivolta verso il basso sull'indicatore luminoso dell'ascensore. Un istante per capire. E la porta scorrevole si apre. Dalla sliding door non esce Gweeneth ma occhio luminoso, con un gordo cardigan di lana marrone a coste larghe. Il casco nella mano destra. Scambiamo uno guardo intenso. Hola que tal, bien y tu. Siamo lì fermi uno di fronte all'altro con i piedi ben piantati, con la voglia di parlare e con le parole che non arrivano al mio cervello. E lui che dice bueno, que te vaya bien

lunedì 17 novembre 2008

16 anni

ho più del doppio dell'età, eppure ho reazioni da sedicenni. Lo incontro sul pianerottolo e a parte guardarlo e sorridergli non riesco a dire niente. La luce nei suoi piccoli occhi mi ha folgorato. E il suo atteggiamento sereno e felice.
Vorrei essere capace di parlargli.

domenica 2 novembre 2008

coinquilinando

Le prime coinquline della mia vita vivevano in una casa degli anni cinquanta in un quartiere triste di Milano, palazzo di 6, 7 piani o più. Noi eravamo al secondo.

La prima coinquilina aveva ventun'anni e un nome catalano, anche se all'epoca non lo sapevo mica che era un nome catalano. Per me era solo un nome, un nome italiano, un po' desueto, un po' biblico.
Però la mia coinquilina col nome biblico - che la mela se l'era mangiata e come - era piuttosto giovane ed era catalana. Parlava italiano con accento milanese e aveva fidanzato milanese, per il quale si era trasferita dalla ridente Barcellona, che io all'epoca non lo sapevo nemmeno bene dove fosse Barcellona, alla cupa Milano. A Milano studiava qualcosa di scientifico e si vantava pressoché ogni 10 secondi del suo inglese perfetto, perché lei aveva fatto l'esame dell'Advanced e l'aveva passato, che poi il CAE era difficile ma lei era brava e l'aveva passato, etc.

La seconda coinquilina aveva un paio di anni in più dell'altra e aveva un nome chic. Di quei nomi che io al liceo conoscevo una con quel nome ed era una con maglia najoleari, cerchietto najoleari, mutande najoleari, trucco najoleari, zaino invicta (tanto per variare), casa chic nel centro della città, parlava solo alle ragazze con tutto najoleari e ai ragazzi col motorino, insomma era chic, come il nome.
E si sa che nella vita la legge del contrappasso funziona a meraviglia. Coinquilina-col-nome-chic aveva un aspetto tracagnotto. Era grassa sopra, col culo piatto, le gambe a imbuto e improbabili scarpe leopardate, ma non color leopardo bensì un leopardato viola-nero, con il tacco in pura plastica vergine nera lucida. Coinquilina-col-nome-chic aveva un sogno nel cassetto, una grande ambizione, realizzare la quale l'avrebbe fatta sentire la donna più realizzata del mondo. Siccome nella città natale, nel sud più sud, nella Puglia più pugliese, nella Brindisi più brindisina realizzare l'ambizione era impossibile causa carenza di posti di lavoro perfino con raccomandazione, coinquilina-col-nome-chic si era fatta raccomandare per realizzare il suo sogno a Milano. Ma le avevano fatto un contratto a tempo determinato. Tre mesi. Per quei tre mesi coinquilina-col-nome-chic aveva lavorato il minimo, lamentadosi di tutto e tutti ma facendo la bella faccia coi capi al solo ed esclusivo fine di realizzare il suo sogno: ottenere un contratto a tempo indeterminato per raggiungere così lo status tanto desiderato. Quello di commessa dell'UPIM vita naturaldurante.

Correva l'anno 2000. A quel tempo io ero una ragazza che giocava a ramino e fischiava alle donne... ehm no... io ero una ragazzetta venticinquenne arrivata da una città del sud 11 mesi dopo la laurea, con un lavoro in tasca trovato mandando CV in internet, che per accettare quel lavoro aveva dovuto litigare di brutto col fidanzato, ragazzetto del sud dalle idee un po' ristrette, per il quale la città del Sud in cui eravamo nati e cresciuti era il posto migliore del mondo, il paradiso in terra. Ragazzetta, ero arrivata nella grande città del nord, città mai vista prima, con le mie paure, la mia voglia di indipendenza e di un'esperienza nuova, le mie sicurezze e il mio primo cellulare, regalatomi da hermanita esasperata dalla preoccupazione di mia madre per il mio trasferimento. Ad aspettarmi immensi cartelli elettorali del presidente operaio in maglione di cashmire blue e nient'altro.
Ospite per i primi tre giorni dalla figlia del commercialista di mia zia, studentessa mai vista prima ma gentile e accogliente, dovetti litigare col mio progressista fidanzato allorché nella casa in cui ero ospite fu invitato a dormire un ragazzino che studiava con le ragazze della casa, perché era inconcepibile che io dividessi il tetto con un uomo. In condizioni emotive disastrate e con dentro la paura della prima volta cercai una stanza in una città sconosciuta e grande, dove la metro era piena di formichine laboriose che camminavano a una velocità di 7 km all'ora, e trovai un posto letto in stanza condivisa con Coinquilina-col-nome-chic. E cominciai il mio primo lavoro.

Coinquilina-col-nome-biblico, minuta e alla moda, era una donna emanciapata. La madre l'aveva portata dal ginecologo a 16 anni per farle prescrivere la pillola. Aveva conosciuto il fidanzato in Costa Brava, il suo luogo d'origine, quando lui era andato lì in vacanza con gli amici. E da lì si erano innamorati. E avevano fatto l'erasmus ciascuno nella città dell'altro finché un bel giorno lei aveva detto al padre, produttore di turaccioli di sughero - che all'epoca mi sembrava un lavoro incredibilmente contadino -, che voleva andare a vivere a Milano. E il padre che la mantenva a Barcelona si piegò all'idea di mantenerla a Milano. Lei era fin troppo consapevole del coraggio che aveva avuto a trasferirsi nonché del valore del denaro. E sebbene di famiglia agiata, quando andavamo a fare la spesa al GS metteva nel sacchetto per la verdura un peperone, lo pesava, e poi ne aggiungeva altri due.

postilla
: questo racconto è frutto dell'immaginazione. Fatti e persone sono inventati ed eventuali corrispondenze con la realtà vanno considerate casuali.