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martedì 4 maggio 2010

Els nens quins anavan al zoo i altres comptes

A volte, quando hai voglia di parlare con qualcuno che da tempo non si affaccia più alla tua vita, scopri che anche lui aveva voglia di parlare con te. Lo scopri per caso. Perché una conversazione iniziata per caso e cominciata in modo quasi formale e sbocconcellato si trasforma in un lui che si dice di non essere capace a fare un passo importante nella sua vita, e in una lei lì ad ascoltarlo a pensare nelle sue di impossibilità.

Una notte facevi fatica a dormire, l'acqua picchiettava alle finestre con solerzia, mentre gli occhi ti bruciavano per le lacrime che non eri riuscita a trattenere mentre qualcuno che ha ancora un posto dentro la tua anima ti apriva la sua. Poi ti svegli. Nove minuti prima della sveglia del cellulare rosso. Non quello che fa "Son las ocho horas en punto. Es ora de levantarse". L'altro. Hai mal di testa e nemmeno ti alzi che già ti droghi con Espidifen, perché è un giorno in cui già trabocchi di emozioni, un giorno in cui sei ancora come una spugna rigonfia per le lacrime della notte prima, e non puoi farcela con il mal di testa. Fai colazione lentamente, fai la doccia lentamente, senti un sms che arriva sul telefono italiano, sai già che è Faccinda. Hai un po' di ritardo. Raccogli tutto ciò che ti serve, ti guardi nello specchio, indossi il basco che hai comprato da H&M a Belfast e apri la porta. Al pianterreno l'uomo del pian terreno sta scopando le mattonelle giusto davanti alla sua porta e davanti alle scale per le quali scendi. Ti guarda dai piedi verso alto. Tu dici Buenos dias e lui quasi si sorprende. Passi. Lui continua con la scopa.
Dal fruttivendolo non ti fermi a comprare le fragole. E' tardi e le signore si accalcano all'entrata.
Il treno della metropolitana arriva bofonchieggiando mentre tu scendi le scale, di fretta. Ti dici "non c'è fretta, ce la faccio" e infatti ce la fai. Sali ti siedi vicino al finestino. Il vagone è mezzo vuoto, nei quattro posti paralleli al tuo è seduto solo un signore, lato finestrino, con una fasciatura al piede e una stampella. Viso perso nel vuoto, come ogni passeggero di metro.
Sei lì seduta, senza verve. Man mano che il treno avanza ti perdi nei tuoi pensieri, sei così persa che non sai nemmeno cosa stai pensando. La spugna è ancora turgida. Le emozioni sono lì, non bollono più ma ondeggiano sotto la superficie.
Rinvieni per un secondo, noti come sia tu che il signore siete già in Modalità Metro, completamente alienati. Il secondo è passato e ti allontani di nuovo.
Ciùciù, chafchaf, jajajaj, bobobobo, fotfotfot, SPATAPALASH.
Bambine e bambini sui dieci anni, vocianti e di corsa si accalcano nel quadrato tuo e dell'uomo e lottando per un posto si siedono in sette nei tre posti liberi del tuo quadrato. Le prime due sono donne. Una bambina morena, alta e magra, con il codino alla Mimì Ayuara, gli orecchini un punto brillante sulla pelle giovane, una catenina d'oro sottile, una tuta di buona qualità, occhiali da vista alla moda e un sorriso che incanta. Ti guarda un istante e tu in quell'istante sorridi a lei, alla sua giovinezza e al jaleo allegro di quel gruppetto che porta le emozioni della vita di nuovo a contatto con la spugna. La bambina bionda, mingherlina mingherlina e bassina dice un timido Hola e si apre in un sorriso gioioso quando tu sorridendo le rispondi con voce squillante Hola. La comitiva è ora adagiata nei posti. Parlano, guardano foto su una macchina digitale, si fotografano tra loro, finché tu non ti accorgi che il contatto con quella vita fa gocciolare la spugna, che è già troppo piena. E vedi che la piccola donna morena di dieci anni guarda quell'emozione che scorre sul tuo viso sottoforma di acqua. Poi cerca un momento in cui tu non guardi (o in cui lei crede che tu non guardi) per mettersi una mano davanti alla bocca e seminascodersi dietro l'orecchio della bambina bionda e sussurrarle qualcosa all'orecchio. La bambina bionda ti guarda. Tu ti accorgi che non devi piangere davanti a quelle creature che ancora non conoscono la vita. E ricominci a sorridere, chiedi al bambino grassottello alla tua destra dove vanno. Al zoo, ti dice un po' titubante. Sicuramente a casa gli hanno detto di non parlare con gli sconosciuti. La comitiva ripende a vociare. Poi a un certo punto ti accorgi che piangi di nuovo e che anche un altro bambino appoggiato con i gomiti allo schienale delle bambine ti guarda. Capisci che non puoi attivare la diga a quel fiume. Allora ti alzi, quasi dimentica di loro, solo li vedi perché è da loro che ti nascondi. La bambina bionda pronuncia un Adeu deciso quando ti vede alzarti ed entrambe le bambine ti sorridono, come per darti coraggio ma hanno un'ombra negli occhi. Tu ti accorgi che sei stata maleducata ad andartene così, ti rigiri a metà e dici con un sorriso forzato Adeu, avendo cura di lasciare il viso seminascosto alla loro vista.
Non è la tua fermata. Ti appoggi lì a uno schienale, di spalle a loro. Gli adulti di fronte possono tranquillamente vedere le tue lacrime. Nessun trauma per loro a quella visione. Infatti nemmeno se ne accorgono. Tu sei solo uno dei mille volti che incontrano nelle loro giornate. Finalmente il treno si ferma.

E tu ricominci la corsa verso la tua routine.