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venerdì 30 dicembre 2011

Cose da ricordare

Ci sono realtà che superano i sogni, per la semplicità con cui avvengono.
Ci sono realtà che non hai osato sognare. E poi avvengono.
Ci sono vacanze di Natale che iniziano con una sopresa inaspettata.
Ci sono passeggiate in giro per la tua città con accanto un uomo "che parla straniero". Un "mericano" direbbe la signora del ristorante davante al quale sei passata per caso.
Ci sono passeggiate per mostrare a quell'uomo il castello sulla cima del colle Bonadies e passeggiate con collane al peperoncino, paté d'olive e gelati troppo dolci.
Ci sono cugini  che ti fanno da Cicerone nei vicoli di un paese sulla costa e zii che ti fanno regali ie ti guardano con affetto in un nuovo momento della tua vita, probabilmente ricordando com'eri 30 anni prima.
Ci sono sorelle senza le quali la tua vita sarebbe peggiore e mamme che ti aspettano a braccia aperte.
Ci sono delle "Teresa B." che ti avvelenano la vita all'ufficio postale e "mericani" che ti criticano aspramente quando guidi.
Ci sono amici sparsi un po' qua e un po' là e tante belle cose che ancora devono avvenire.

giovedì 1 dicembre 2011

Nata solo il segno dei pesciiiiiiiiiii

Adelina Montalbano (1922-2003).
Quando si parla di qualcuno che è morto, se ne può parlare in due modi. Uno è quello formale, usato nei libri di letteratura, in cui si menzionano i dati anagrafici, quelli relativi alla carriera e gli eventi importanti che hanno dato alla persona la sua impronta peculiare. Il secondo modo di parlare di qualcuno che è morto è quello soggettivo, dove chi parla osserva o definisce la persona morta a partire da sé, dal suo punto di vista soggettivo. Chi parla della persona morta la ritrae nelle situazione in cui tale persona si relazionava all'io narrante e la narrazione risente necessariamente del punto di vista dell'autore, delle sue emozioni, del suo rapporto con la persona descritta.Un riassunto formale della vita di Adelina Montalbano potrebbe essere il seguente:
Nata ad Avellino da genitori salernitani, Adelina Montalbano (pseudonimo, ndr) trascorre l'infanzia a Bergamo e l'adolescenza e la prima giovinezza a Modena. Innamoratasi un collega di ufficio di 15 anni più grande, all'età di ventitré anni si sposa contro il volere di suo padre e va a vivere con il marito a Belluno, dove durante la seconda guerra mondiale partorisce il suo primo figlio. È durante la guerra che la coppia torna al Sud da cui proviene, stabilendosi per un breve tempo ad Avellino, dove Adelina dà alla luce una bambina, e successivamente ad Amalfi, dove nasce il terzo e ultimo figlio di Adelina. A pochi anni dalla nascita dell'ultimo figlio la famiglia si trasferisce definitivamente a Salerno, dove Adelina morirà parecchi anni più tardi, dopo avere avere allevato tre figli ed essersi presa cura di svariati nipoti che l'hanno amata e la rimpiangono ancora, a otto anni dalla sua scomparsa.
Un ritratto personale di Adelina sarebbe il mio:

Era nata all'inizio del ventennio fascista e del fascismo portava l'impronta. Era intansigente e credeva nell'obbedienza alle regole. Aveva sofferto la guerra, prima al nord, dove aveva visto da vicino i tedeschi, che le stavano quasi per ammazzare il marito, e poi al sud, dove aveva visto da vicino gli inglesi e gli Americani.
Da quando sono nata, aveva i capelli grigi, diventati sempre più bianchi nel corso degli anni. Me la ricordo zoppicante nelle ciabatte ergonomiche blu (quelle delle vecchie, ma non aveva nemmeno 60 anni), e un vestito a pois blu. Mi ricordo molti dei suoi vestiti e dei suoi camici per casa. Uno di quelli che usava di più era di un colore a metà fra il celeste e il verde con piccoli disegni che entravano nel fucsia di una stoffa un po' lucida, che poteva essere acrilica. Era un vestito estivo. Per qualche motivo che non conosco nella mia prima infanzia me la ricordo solo con vestiti estivi. Forse era in estate che la vedevo di più. Aveva i capelli corti e ricci con il grigio che diventava più scuro nelle curve interne dei boccoli. Me la ricordo sempre indaffarata per casa, a spolverare o a passare la cera, a cucinare in una cucina di altri tempi, a chiamare "Rino, Rino" da una stanza all'altra, a dire "Véngo, véngo" e "Béne, béne" con il suo accento del Nord che a Salerno suonava davvero esotico. Me la ricordo a prendersi cura dei miei cugini, a preparare pranzi di Natale, domenica e festività varie per orde imbizzarrite di bambini abituati al benessere (cosa che non l'aveva mai toccata e davanti alla quale aveva un atteggiamento quasi di rifiuto, di incredulità).
Non era una persona semplice e nemmeno allegra ma amava la sua famiglia, nel modo in cui sapeva. Non sempre il modo migliore, ma il suo modo. Per le persone che amava era capace di sacrifici immensi. Si potrebbero dire cose negative sul suo carattere, ma se c'era un difetto che non aveva era l'egoismo. A volte non brillava per intelligenza e forse non era coraggiosissima, a volte aveva un'ansia latente per cose di poca importanza e la paura di non essere accettata e che le persone che lei amava non venissero accettate o rispettate. Era una persona buona, non si aspettava il male dagli altri e ogni volta che qualcuno gliene faceva restava sorpresa, ma se veniva da persone che amava le perdonava.
Mi manca, oggi e in molti giorni della mia vita. Il ricordo di quella persona che per me rappresentava la casa accogliente e la famiglia, il nido, chi non ti tradirebbe mai, quel ricordo a volte si allontana, ma il calore dell'amore che mi dava, il senso di speranza che rappresentava, mi aiuta nei momenti di tristezza. E oggi la voglio ricordare. A otto anni dalla sua morte.