Le prime coinquline della mia vita vivevano in una casa degli anni cinquanta in un quartiere triste di Milano, palazzo di 6, 7 piani o più. Noi eravamo al secondo.
La prima coinquilina aveva ventun'anni e un nome catalano, anche se all'epoca non lo sapevo mica che era un nome catalano. Per me era solo un nome, un nome italiano, un po' desueto, un po' biblico.
Però la mia coinquilina col nome biblico - che la mela se l'era mangiata e come - era piuttosto giovane ed era catalana. Parlava italiano con accento milanese e aveva fidanzato milanese, per il quale si era trasferita dalla ridente Barcellona, che io all'epoca non lo sapevo nemmeno bene dove fosse Barcellona, alla cupa Milano. A Milano studiava qualcosa di scientifico e si vantava pressoché ogni 10 secondi del suo inglese perfetto, perché lei aveva fatto l'esame dell'Advanced e l'aveva passato, che poi il CAE era difficile ma lei era brava e l'aveva passato, etc.
La seconda coinquilina aveva un paio di anni in più dell'altra e aveva un nome chic. Di quei nomi che io al liceo conoscevo una con quel nome ed era una con maglia najoleari, cerchietto najoleari, mutande najoleari, trucco najoleari, zaino invicta (tanto per variare), casa chic nel centro della città, parlava solo alle ragazze con tutto najoleari e ai ragazzi col motorino, insomma era chic, come il nome.
E si sa che nella vita la legge del contrappasso funziona a meraviglia. Coinquilina-col-nome-chic aveva un aspetto tracagnotto. Era grassa sopra, col culo piatto, le gambe a imbuto e improbabili scarpe leopardate, ma non color leopardo bensì un leopardato viola-nero, con il tacco in pura plastica vergine nera lucida. Coinquilina-col-nome-chic aveva un sogno nel cassetto, una grande ambizione, realizzare la quale l'avrebbe fatta sentire la donna più realizzata del mondo. Siccome nella città natale, nel sud più sud, nella Puglia più pugliese, nella Brindisi più brindisina realizzare l'ambizione era impossibile causa carenza di posti di lavoro perfino con raccomandazione, coinquilina-col-nome-chic si era fatta raccomandare per realizzare il suo sogno a Milano. Ma le avevano fatto un contratto a tempo determinato. Tre mesi. Per quei tre mesi coinquilina-col-nome-chic aveva lavorato il minimo, lamentadosi di tutto e tutti ma facendo la bella faccia coi capi al solo ed esclusivo fine di realizzare il suo sogno: ottenere un contratto a tempo indeterminato per raggiungere così lo status tanto desiderato. Quello di commessa dell'UPIM vita naturaldurante.
Correva l'anno 2000. A quel tempo io ero una ragazza che giocava a ramino e fischiava alle donne... ehm no... io ero una ragazzetta venticinquenne arrivata da una città del sud 11 mesi dopo la laurea, con un lavoro in tasca trovato mandando CV in internet, che per accettare quel lavoro aveva dovuto litigare di brutto col fidanzato, ragazzetto del sud dalle idee un po' ristrette, per il quale la città del Sud in cui eravamo nati e cresciuti era il posto migliore del mondo, il paradiso in terra. Ragazzetta, ero arrivata nella grande città del nord, città mai vista prima, con le mie paure, la mia voglia di indipendenza e di un'esperienza nuova, le mie sicurezze e il mio primo cellulare, regalatomi da hermanita esasperata dalla preoccupazione di mia madre per il mio trasferimento. Ad aspettarmi immensi cartelli elettorali del presidente operaio in maglione di cashmire blue e nient'altro.
Ospite per i primi tre giorni dalla figlia del commercialista di mia zia, studentessa mai vista prima ma gentile e accogliente, dovetti litigare col mio progressista fidanzato allorché nella casa in cui ero ospite fu invitato a dormire un ragazzino che studiava con le ragazze della casa, perché era inconcepibile che io dividessi il tetto con un uomo. In condizioni emotive disastrate e con dentro la paura della prima volta cercai una stanza in una città sconosciuta e grande, dove la metro era piena di formichine laboriose che camminavano a una velocità di 7 km all'ora, e trovai un posto letto in stanza condivisa con Coinquilina-col-nome-chic. E cominciai il mio primo lavoro.
Coinquilina-col-nome-biblico, minuta e alla moda, era una donna emanciapata. La madre l'aveva portata dal ginecologo a 16 anni per farle prescrivere la pillola. Aveva conosciuto il fidanzato in Costa Brava, il suo luogo d'origine, quando lui era andato lì in vacanza con gli amici. E da lì si erano innamorati. E avevano fatto l'erasmus ciascuno nella città dell'altro finché un bel giorno lei aveva detto al padre, produttore di turaccioli di sughero - che all'epoca mi sembrava un lavoro incredibilmente contadino -, che voleva andare a vivere a Milano. E il padre che la mantenva a Barcelona si piegò all'idea di mantenerla a Milano. Lei era fin troppo consapevole del coraggio che aveva avuto a trasferirsi nonché del valore del denaro. E sebbene di famiglia agiata, quando andavamo a fare la spesa al GS metteva nel sacchetto per la verdura un peperone, lo pesava, e poi ne aggiungeva altri due.
postilla: questo racconto è frutto dell'immaginazione. Fatti e persone sono inventati ed eventuali corrispondenze con la realtà vanno considerate casuali.
domenica 2 novembre 2008
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10 commenti:
Quelli con i soldi sono sempre i più tirchi e scrocconi.
DarthAnto
bel post bel blog scrivi bene...la tipa col nome chic l'ho nominata dentro di me Guia..non so perché..brava
Ciao DarthAnto e Tafkaj, grazie di essere passati di qui e di aver letto.
Tafkaj, "Guia" è un nome?
A presto,
Sco
Bellissimo sto racconto... Come prosegue?
Ciao lucy... quando ho tempo continuo il racconto.
Attendo impaziente il seguito!
:-)
senta che vi piaccia il mio racconto, spero di essere in grado di scrive una continuazione degna.
Normalmente sono un po' frammentaria quando scrivo :) (come in tutto nella vita, direi) :)
ehm, volevo dire "sono contenta"
anche io voglio il seguitooooo
ciao sco, un bacione :)
Attendo la continuazione. Certo che 7 km all'ora sono un bel numerillo! Tutti corridori a Milano!
Alla fine l'hanno tenuta la chic?
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