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giovedì 20 novembre 2008

[continuando] coinquilinando

Le prime coinquline della mia vita vivevano in una casa degli anni cinquanta in un quartiere triste di Milano, palazzo di 6, 7 piani o più. Noi eravamo al secondo.[...]
Coinquilina-col-nome-biblico, minuta e alla moda, era una donna emanciapata. La madre l'aveva portata dal ginecologo a 16 anni per farle prescrivere la pillola. Aveva conosciuto il fidanzato in Costa Brava, il suo luogo d'origine, quando lui era andato lì in vacanza con gli amici. E da lì si erano innamorati. E avevano fatto l'erasmus ciascuno nella città dell'altro finché un bel giorno lei aveva detto al padre, produttore di turaccioli di sughero - che all'epoca mi sembrava un lavoro incredibilmente contadino -, che voleva andare a vivere a Milano. E il padre che la manteneva a Barcelona si piegò all'idea di mantenerla a Milano. Lei era fin troppo consapevole del coraggio che aveva avuto a trasferirsi nonché del valore del denaro. E sebbene di famiglia agiata, quando andavamo a fare la spesa al GS metteva nel sacchetto per la verdura un peperone, lo pesava, e poi ne aggiungeva altri due.
Credeva di avere in tasca la verità sul mondo. E su di me, anche.
A volte mi domando se la incontrerò di nuovo.

Coinquilina col nome chic aveva avuto un fidanzato nel suo paese, per vari anni, ma poi si erano lasciati. Il fidanzato era andata a trovarla mentre lei era lì. Comunque coinquilina col nome chic aveva due grandi amori. Gigi d'Alessio e Un posto al sole. È grazie (o per colpa) di coinquilina col nome chic che conosco la canzone che recita vulimm'c' cchiù ben' tutti i napoletani. Ed è così che ho scoperto le imperdibili avventure del biondo Alessandro Palladini.
Coinquilina col nome chic sopravviveva a botta di pasta al pesto già pronto e di piadine plasticose col prosciutto cotto. Il crudo non le piaceva. Non le piaceva il pesce e molte altre cose. Però nella sua credenza non mancavano mai le patatine fritte.
Poi coinquilina col nome chic aveva, o almeno ebbe in qui pochi mesi della nostra conoscenza, un altro amore. Si era presa una cotta colossale per un tipo che l'avrebbe probabilmente ignorata se lei non avesse mostrato interesse e disponibilità.

All'epoca io non ero come sono ora e per me già "fare l'amore" era una cosa mezza proibita, figuriamoci fare l'amore con qualcuno che lavora con te, che non ti ama, che conosci pochissimo, che se gli telefoni non ti risponde e che in più vuole farlo senza preservativo. Ma io non ho il nome chic. E nemmeno le scarpe leopardate.
Avevo però un fidanzato che non voleva che uscissi, e che se una sera non mi sentiva pensva fossi andata sotto una macchina, fossi stata rapita o lo avessi tradito.
E così avvenne, in quell'inverno milanese, che una sera che rossa milanese mi invità a cena da lei con suo marito e un loro amico, nonché mio collega, cdovetti affrontare la litigata più litigiosa della mia pluriennale relazione.
Fu così frustrante, così aberrante, così inutile e così incomprensibile (oltre che così doloroso) - mentre io mi sentivo incompresa - che innamorata com'ero e un po' stanca della condizione di fidanzatoemarginazione decisi di tornarmene a casa...

E il coinquilinaggio se acabò.

postilla: questo racconto è frutto dell'immaginazione. Fatti e persone sono inventati ed eventuali corrispondenze con la realtà vanno considerate casuali.

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