Oggi camminavo sotto portici deserti, sotto gli occhi vigili di serrande di negozi abbassate. Pochi passi prima, davanti alla chiesa, gente sulle scalinate. Fiori su un carro. L'aria sognante resta sul mio volto e
metalinguisticamente riflette su stessa. Si dice che erano anni che non si affacciava così preponderante nel mio cervello, con tutti i sintomi dell'amore mentale. Con tutti i sogni su un uomo che è solo l'ombra di qualcuno intravisto e conosciuto, un qualcuno la cui carne e le cui ossa svaniscono come un ologramma nel monitor della mia materia grigia. Una serenità in aura da sogno, slegata dalla realtà. E le mie guance a forma di sorriso. Come un'epifania capisco parole sepolte nella mia mente "il tuo sorriso fra la gente passerà forse indifferente, ma non ti sentirai più solo sei diventato un uomo". Ultimamente mi è capitato spesso.
Tornare su cose del passato e capirle in un modo diverso. Vedere un significato che prima restava non svelato. Mentre il significato di prima si è perso nell'
inafferrabilità del tempo.
Mia sorella è andata a comprare il biglietto del treno e quando ha salutato mia madre lei piangeva. Sono andata ad abbracciarla e mi ha detto "lasciami stare". Col pudore del dolore. Mentre lottava contro se stessa per riuscire ad accettare la vita.
Perché la vita lascia sole persone generose, altruiste, intelligenti e coraggiose?
Perché, d'altro canto, abbiamo bisogno di stare soli per conoscerci e prendere il pieno possesso di noi stessi?
Oggi sono andata al supermercato per la scorta alimentare da mettere in valigia. Tre gli obiettivi, puntualmente prelevati dai banchi del supermercato: polenta
Valsugana, melanzane sottolio, parmigiano reggiano. Ma carrelli pieni di ogni ben di Dio mi separavano dalla cassa. Sono fuggita via senza il mio bottino.
La corsa gli acquisti da quando sono arrivata in questa città è il mio incubo. Code chilometriche in macchina perché la gente andava a comprare i regali prima, poi code chilometriche nei negozi perché la gente andava in giro per saldi, poi code chilometriche alle case dei supermercati perché la gente fa la spesa per la Befana e rimpingua le dispense svuotate dalla cupidigia degli stomaci natalizi. Sono giorni di festa per tutti e nessuno resta in casa. E ogni metro quadro della città trasuda di un consumismo ineluttabile, triste nella consapevolezza di una crisi che sembra spettralmente preludere alla morte del gigante di cui è essa stessa frutto.
Ieri Michele Serra e un lettore del Venerdì di Repubblica commentavano la repulsione provata quest'anno nei confronti del Natale consumistico, di regali forzati, di sentimenti che si cristallizzano in una forma che dietro non ha più niente.
E il dolore ristagna nelle case in cui la gente muore.