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mercoledì 13 febbraio 2008

Mio nonno

Nonno Rino era del 1910. Era del segno dei gemelli, ma io questo l'ho scoperto solo da grande.
Nonno Rino per me è un sorriso. E una carezza sulla testa di Wisky e una sulla mia.
Eravamo alti uguali io e Wisky, solo che Wisky si estendeva in lunghezza, con le sue 4 zampe e la coda pelosa. Anzi forse Wisky era un po' più alto di me. Anche se era più piccolo credo, ma non ci giurerei, non capisco molto di età dei cani. Eravamo grandi amici. Giocavamo a nascondino. Io mi nascondevo dietro la poltrona di pelle azzurra e lui infilava il muso dietro la spalliera per trovarmi.

Nonno Rino era in pensione e aveva molti hobby. Allevare colombi bianchi nella colombaia sulla grande terrazza al settimo piano di Via LP. Coltivare pomodori e altri ortaggi in grandi vasi sulla medesima terrazza. Martellare chiodi nel misterioso sgabuzzino, pieno di viti e attrezzi, annesso alla grande terrazza. Collezionare le schede degli animali. Prendersi cura della sua prima nipotina.
Per quella nipotina la terrazza del nonno, Wisky, i colombi, la grande pianta di pomodori che si arrampicava sulla ringhiera e la coppola di tela bianca del nonno costituivano non solo l'attività principale dei lunghi pomeriggi estivi ma soprattutto un luogo incantato, in cui tutto era permesso e in cui l'amore era al centro di tutto.
A Scogliera bambina il nonno aveva insegnato a prendere i semini contenuti in quei contenitori che sembravano noci di cocco svuotate e a portarli ai colombi bianchi appollaiati nella loro gabbia gigantesca in cui potevano entrare anche le persone. E aveva insegnato a salire in modo da vedere le uova del colombo che stava più in alto. E a mettere la mano nella cassetta, e le aveva fatto sentire l'uovo caldo, cosi bianco. "Nonno, ma le uova dei colombi si mangiano come quelle delle galline?" "Nonno, perché i colombi bianchi sono nella colombaia e i colombi grigi sono liberi?"
Sì, mio nonno gettava il mangime su tutta la terrazza e i piccioni arrivavano dal cielo. Era sempre grigio il pavimento della terrazza. E io passavo il tempo a rimirarli. Anche quando andavamo ai giardinetti e il nonno portava il pane. Io guardavo il collo dei piccioni allargarsi e poi deglutire, osservavo la curva della gola, e l'occhio fisso sui lati, mentre il becco andava dritto alla meta. Il nonno con una mano teneva "il bastone del nonno" e con l'altra teneva la mia manina. Mentre scendevamo le scale del sottopassaggio che da Via LP portava ai giardinetti io gli guardavo le mani. Scure con pelle spessa e secca, e grandi macchie marroni.
"Mamma, perché il nonno ha le macchie marroni sulle mani, che cosa sono?"
"Sono macchie di vecchiaia."
L'ultimo Natale, a casa, mia madre aveva una macchia marrone sulle mani. E io ho pensato: la mano del Nonno Rino.

Oggetti del nonno Rino:
La sedia di legno marrone scuro, con i braccioli a forma di tarallo. Io e mia sorella, quando mio nonno non c'era o dopo la sua morte, facevamo a gara per sederci su quella sedia. Non ne ho mai più viste di simili, ma un tempo doveva essere un tipo si sedia molto comune. Quando mia nonna decise che era giunto il momento di buttarla, mi sembrò che un pezzo di vita se ne andasse. Ma ora scopro che quella sedia è qui con me.
Il cassetto del guardaroba/specchiera che stava nell'ingresso, contenente le palline di gomma che rimbalzavano, simili alle palline antistress di oggi, ma di una gomma meno lucida, meno moderna e molto scolorita. Gialla rossa blu.
Un tiradadi nero con coperchio giallo (un po' come un portarullino) e due dadini di plastica azzurri.
Il giradischi. Con la cassa esterna di plastica verde rigida, doveva aver visto la guerra. In quel giradischi metteva i dischi per me. Heidi, Mi scappa la pipi, I suonatori di Brema (con la copertina di carta azzurra e la scritta rosa "la banda dello zecchino"). E il magico disco con i versi degli uccelli, che ascoltavo seduta sulle sue ginocchia mentre mi sbucciava le fave.
Il calendario a dadini di legno. La filastrocca sui mesi: 30 giorni a novembre, con aprile, giugno e settembre...
La foto di Zio Tonino, figura mitologica che non ho mai avuto il piacere di conoscere. Il fratello maggiore di mio nonno. Ho conosciuto la moglie, lei sì che me la ricordo. Lei e le sue stranezze.
I televisori e relativi mobiletti.
Una volta morto mio nonno e gettati i televisori causa inutilizzabilità io e mia sorella, anche detta "a patanella ru nonn", li utilizzavamo come se fossero stati pattini da mettere sotto la pancia (in realtà noi dovevamo arrampicarci su quei mobiletti (i carrellini, li chiamava mia nonna) e ci giravamo per tutta casa di mia nonna, la quale ci urlava dietro perché aveva dato la cera. E ora che ci penso era in uno di questi strani "mobiletti" che erano riposte le palline e i dadi.
Beh, a pensarci, se volessi descrivere tutti gli oggetti e i ricordi ci vorrebbero anni.
Avevo solo 6 anni (e [6] anni sembran pochi quando poi ti volti a guardare e non ci sono p), ma è incredibile quanto quelle cose siano profonde dentro di me, riposte in un angolo del mio cuore. Indelebili.
E le caramelle mou e i trasferelli.

Fino alla nascita di mio cugino. Il primo nipote maschio. Deve essere stato il primo attacco di gelosia della mia vita. Per la prima volta mio nonno, mio indiscusso ammiratore, aveva comprato una gallinella in latta colorata, di quelle a cui si dava la corda per farle camminare, al bimbo che per volontà di mio nonno non si chiamava come lui. Ricordo mio cugino con meno di un anno scorrazzare nel girello per tutta la casa... che già non era più quella con la grande terrazza, in cui già più non c'era il cane...
I miei nonni erano stati sfrattati, proprio nel periodo in cui mio nonno aveva scoperto di avere un tumore al polmoni.
Poi morì. E io risi per due giorni quando me lo dissero.
Pare che io arrivai alla porta della stanza di mio nonno morente proprio nel momento in cui lui stava esalando l'ultimo respiro. Una porta di vetro chiusa. Erano le sette del mattino.
Non più capelli bianchi rasati a zero da accarezzare. Non più Kojac nel letto con lui né le fette biscottate con la marmellata. Né la tosse. Né mia nonna che si lamentava perché il nonno era dimagrito e che parlava del "dottorino" che lo veniva a visitare.
Uno scheletro in realtà era diventato. Ma gli occhi, per quanto sofferenti, sempre profondi e con un guizzo d'intelligenza e d'amore che balenava a tratti.

[suscettibile di modifiche]

4 commenti:

Marco ha detto...

Permetto di entrare in questo post molto personale, che ripercorre la figura di una persona a te cara, per salutarti. Ti ho trovato per caso tra i contatti del myweblog (si chiama così?) e mi ha incuriosito il tuo titolo, che subito mi è apparso come una canzone che amo, la Campana ovviamente, del buon vecchio De Gregori.
Tutto qua, ora ti saluto (non sono stato molto fosforo e fantasia lo ammetto) e buona vita :)

A picco sull'oceano ha detto...

grazie della visita marco, torna quando vuoi :-)

A picco sull'oceano ha detto...

cmq Marco la canzone è il '56

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e