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Visualizzazione post con etichetta emozioni. Mostra tutti i post
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venerdì 12 novembre 2010

venerdì di novembre - leaving do

C'era una stanza con un letto mezzo disfatto, con le lenzuola a quadri verdi e azzurri di ikea. C'era un pavimento di quelli delle case anni 50/60, quadrate con il lato di 30 o 40 cm, bianche, macchiate di poligoni irregolari marroncino chiaro, cappuccino, caffè macchiato e cose così.
Io dovevo fare pipì.
Guardavo avanti e c'era il figlio dell'amica di mia madre che pareva avesse appena utilizzato il water che era sul lato della camera da letto. A me mi fa un po' senso l'idea che il water sia lì e che ci sia il figlio dell'amica di mia madre che può vedermi. Però devo fare pipì. Mi avvicino, tutto il resto della scena scompare. Vedo solo la parte anteriore della tazza e una roba viscida e dotata di ventose di color rosa-marroncino che tenta di arrampicarsi, mentre si sente il rumore dello sciacquone. Ma la cosa marrone lotta strenuamente contro lo sciacquone e il suo tentacolo grasso e tenace affiora alla superficie con tutta la forza. Il polipo gigante si fa strada nella mia vita.

C'è che tutti noi, chi più chi meno a seconda della nostra sensibilità e della nostra esperienza, abbiamo gelosie, invidie, emozioni, affetti, desideri, rancori, senso di sconfitta. A volte alcuni di noi lottano contro questi sentimenti, che si insinuano inattesi nelle nostre vite, alla tua festa di compleanno o mentre sei in un barcon un'amica a goderti qualche prelibatezza ingrassante. Alcuni di noi, sempre gli stessi o anche altri, lottano anche contro le proprie paure, quelle che ci prendono così per caso e che di primo acchito non riconosciamo. La paura, tanto per dirne una, di una relazione amorosa, che infondo è da anni che desideriamo. La paura di prendersi cura di qualcuno e che quel qualcuno non si prenda abbastanza cura di te. La paura di dare troppo, più di quello che danno a te. O la paura, a volte quasi pietrificante, dei pettegolezzi inutili, della cattiveria gratuita e fine a se stessa. Ci sono momenti in cui tutti questi sentimenti si uniscono a formare un'enorme matassa di ansia all'interno delle tue ossa e della tua carne e momenti in cui come per magia la matassa si sbroglia e il filo si srotola contento sospinto da quel gatto arruffato che è la tua sempiterna voglia di vivere.

C'è che sappiamo che tutto finisce. C'è che sappiamo anche che nuove cose cominciano.
C'è che sappiamo che c'è gente capace di amore vero, anche se c'è gente, forse la stessa forse no, capace di odio agghiacciante.

mercoledì 3 novembre 2010

vita interiore

Scritto il primo novembre
Arrivano e sorridono.
Le prime sono due sorelle brune “Felicidades, Anna, Felicidades”.
Dopo molte pressioni e un po' di antipatia camerierante troviamo una mesa, ce la danno più che altro perchè abbiamo 'okkupato' i due tavolini che sono all'ingresso, nella verandina. Siguen sonriendo. Parliamo della sera prima, di quello che hanno fatto, di quello che 'non' ho fatto io.
Arriva un altro sorriso. Lì con le sue stanghette verdi abbinate ai suoi occhi sorridenti.
Io ho sempre questa cosa qui, con gli 'ospiti' e quando organizzo qualcos,a che ho sempre paura che la gente non si diverta e non si senta a suo agio, come se dipendesse da me.
Quattro ad un tavolo da quattro. Telefonata: “Sono in ritardo, ho un dolce nel forno. Arrivo fra un'ora”.
Siamo lì charlando, un po' a fatica, tra gente che non si conosce molto, poi arriva un viso serio, nei suo occhiali bianchi che fanno tanto film con Monica Vitti, una mano dal tavolo si stende in saluto, e un sorriso di occhi scuri accende “gli occhiali come due fanali”, e una macchina fotografica rétro

scritto il due novembre
è bello sentire la tua mancanza quando è ormai sera, e aver voglia di tornare a casa per chiederti come stai. accendere la miracolosa sfera verde con il segno di spunta bianco per cercarti, non trovarti, dire a me stessa che ti manderò un sms, aprire svogliatamente la mail e lì come per incanto -'you've got mail'- trovare la tua mail che mi chiede dove sono e mi manda un bacino.
Avere voglia di parlare con te e sapere di avere la confidenza per chiamarti a mezzanotte meno un quarto, sapere che in fondo sarai contento, non mi hai scritto tanto tempo fa, non più di dieci minuti, non posso svegliarti, non voglio ma voglio dirti buonanotte.
E la tua voce sorride, a telefono mentre mi racconti di customer e tonni, valigie e aerei.
Una voce che mi ha dato serenità.

Può essere che domani qualcosa inizi -o finisca- che mi allontani da te. Ci pensavo in metro, non voglio che questa cosa mi allontani da te. Nemmeno dagli altri, ma soprattutto da te. Pensavo a quella cosa che mi hai detto quel pomeriggio che venni da te, quel giorno in cui la tua risposta sorprendentemente fu 'sì' alla mia proposta di un giro al centro commerciale. Mi dicesti 'quest'inverno se non ti sei fidanzata vieni a casa mia una domenica e ci facciamo una minestra e stiamo in casa al calduccio'. Mi piacerebbe poterlo fare. E abbracciarti. Ho voglia di abbracciarti, a te e un po' al mondo intero, anzi no a quel mondo a cui voglio bene. Ma a te di piú. Io credo nella vita e penso che lo faremo. Volevo chiederti scusa anche per quella cosa della gelosia che ho detto l'altra sera e che forse non era la prima volta che dicevo. Non so bene perchè, a volte ho questa cosa di aver paura di essere abbandonata, mentre invece tu, lei e gli altri oggetti della mia -di solito temporanea- gelosia, siete importanti per me, e non voglio perdervi e voglio che siate felici, come che sia.
Tu e tutte le persone speciali come te avete reso più belli questi trentacinque anni che ho vissuto.
Grazie per la tua voce sorridente, per il verde delle tue stanghette.
Non so se si può capire, forse non lo capisco nemmeno io.

Scritto il tre novembre

La continuazione di quanto scritto il primo novembre.... forse...

lunedì 11 ottobre 2010

...le mie chiavi di casa puoi tenertele tu...

...faccio a pugni con te e ti vengo a cercare...

insomma sto ancora così con questa voglia di parlare e parole che si fermano a metá. pensieri che si mettono in ordine da soli ma emergono solo quando sei arrabbiata o almeno un po' delusa.

qualcuno che si isola, che ti dice che è stanco, che ha voglia di starsene da solo, e tu che ti senti esclusa.

l'abitudine ce l'hai fatta a questa vita, hai visto che in un modo o nell'altro vai avanti e che sulla tua strada incontri gente che vale la pena di essere conosciuta.

fai sogni strani, con gente strana. sogni profondi e scuri. con pezzi di te, di un'altra te.

la difficoltá a confrontarsi con la gente con cui passi tuo malgrado la maggior parte del tuo tempo.

nessuno che davvero davvero sia in grado di penetrare nei tuoi pensieri. o piú che altro nessuno che ne abbia voglia. tutti ne hanno giá abbastanza dei loro problemi e dei loro pensieri. qualcuno magari pensa anche che le cose te le cerchi, a iniziare una storia con qualcuno che vive all'altro lato del continente. non è che poi davvero davvero hai bisogno di qualcuno che si preoccupi per te e che penetri in tutti i tuoi pensieri, la veritá è che sei abituata a com'è la tua vita e che il pezzo di solitudine che c'è a volte quando torni a casa la sera è un po' un pezzo di te.
peró in un pezzettino minuscolo della tua carne e del tuo cuore te lo ricordi ancora com'era quando c'era qualcuno con cui dividevi tutto, che quando i suoi piedi camminavano, camminavano i tuoi, quando i suoi occhi sorridevano sorridevano i tuoi.

...e altre parti altre parti di me...

andarsene era scritto perció ciao ciao, giá parte il treno...

a volte non credo piú in niente...

sabato 9 ottobre 2010

il cambio di stagione

i sentimenti poi sono una cosa naturale ma allo stesso tempo complessa, proprio come la vita.
in questi giorni mi riesce difficile parlare. ho cuore e cervello pregni. vorrei dire e dire e dire, a chi mi sta intorno, ma non mi esce. è che sono come sentimenti e pensieri in evoluzione. e io pensieri e sentimenti in evoluzione spesso non li esprimo perchè mi danno ansia.
vorrei scriverne. scriverne a mente libera si che mi verrebbe e mi aiuterebbe a rischiararmi le idee, ma...

...mentre quando ho iniziato a scrivere sul blog nessuno conosceva la mia faccia, chi ero, come mi chiamavo, quello che volevo nella vita, ora varie persone mi conoscono e ancora altre mi conosceranno presto. alcune fanno parte della mia vita quotidiana o quasi e alcuni dei miei pensieri li conoscono lo stesso o li conosceranno presto. allo stesso tempo potrebbero essere sorpresi di quello che potrebbero leggere qui. e un pensiero o un sentimento per me in evoluzione e passeggero potrebbe restar piantato nella loro testa per l'eternitá.

mercoledì 6 ottobre 2010

bisognerebbe smettere...

... a volte di dare importanza alle proprie emozioni.

domenica 15 agosto 2010

brezza

stamattina sembrava una domenica in settembre... la brezza era un po' fredda per agosto, e le finestre spalancate infreddolivano Scogliera e la sua casa. l'unico raggio di sole peró che entrava dalla finestra era caldo.
ora la brezza non c'è piú o è molto leggera, riesce a malapena a sollevare di un paio di centrimenti la tenda con la velocitá della risacca di un mare completamente calmo.

un weekend in casa, con il corpo debole e la mente occupata a ricordare, sognare, arzigogolare e a fare vani tentativi di prevedere il futuro, da qui alla fine dell'anno.

domenica 27 giugno 2010

domeniche

a volte ci sembra che la nostra vita sia cambiata un migliaio di volte, che anche se abbiamo memoria di quello che facevamo a 10 anni, a 15 a 20, e se sappiamo come siamo passati da una fase di vita all'altra, a volte ci sembra che siamo quasi persone diverse.

quando ero bambina le domeniche pomeriggio erano pomeriggi in famiglia. con mia madre e mia sorella, e mia nonna a guardare la tv o a leggere un giallo nello studio. erano film di disney in tv la sera, compiti a casa non fatti il sabato, chiacchiere tra noi. invece la domenica mattina era sociale, specialmente per via della messa, con il coro, gli amici, la gente. e cucinare. mia madre faceva i calzoni fritti o la sogliola indorata e fritta che si annoverava tra i miei cibi preferiti.

da quando vivo sola la domenica sera mi piace stare a casa. mi piace cucinare, pensare a me stessa, raccogliere i pensieri, proprio come quando ero bambina e lo facevo con mia sorella e mia madre.

stasera ad esempio, sono tornata a casa dopo una lunga passeggiata sul lungomare con un'amica e la prima cosa che ho fatto rientrata in casa-vabbè la seconda- è stato andare a spacchettare le verdure nel frigo, tagliarle a tocchetti e infilarle nel forno, a mò di ciamfotta. non che ne avessi veramente bisogno, infatti la cena pronta ce l'avevo giá e anche il pranzo per domani. ho giá cenato e le verdure sono lì ancora nel forno. zucchine melanzane e un peperone che odorano di menta e cipolla. la casa profuma di famiglia

martedì 4 maggio 2010

Els nens quins anavan al zoo i altres comptes

A volte, quando hai voglia di parlare con qualcuno che da tempo non si affaccia più alla tua vita, scopri che anche lui aveva voglia di parlare con te. Lo scopri per caso. Perché una conversazione iniziata per caso e cominciata in modo quasi formale e sbocconcellato si trasforma in un lui che si dice di non essere capace a fare un passo importante nella sua vita, e in una lei lì ad ascoltarlo a pensare nelle sue di impossibilità.

Una notte facevi fatica a dormire, l'acqua picchiettava alle finestre con solerzia, mentre gli occhi ti bruciavano per le lacrime che non eri riuscita a trattenere mentre qualcuno che ha ancora un posto dentro la tua anima ti apriva la sua. Poi ti svegli. Nove minuti prima della sveglia del cellulare rosso. Non quello che fa "Son las ocho horas en punto. Es ora de levantarse". L'altro. Hai mal di testa e nemmeno ti alzi che già ti droghi con Espidifen, perché è un giorno in cui già trabocchi di emozioni, un giorno in cui sei ancora come una spugna rigonfia per le lacrime della notte prima, e non puoi farcela con il mal di testa. Fai colazione lentamente, fai la doccia lentamente, senti un sms che arriva sul telefono italiano, sai già che è Faccinda. Hai un po' di ritardo. Raccogli tutto ciò che ti serve, ti guardi nello specchio, indossi il basco che hai comprato da H&M a Belfast e apri la porta. Al pianterreno l'uomo del pian terreno sta scopando le mattonelle giusto davanti alla sua porta e davanti alle scale per le quali scendi. Ti guarda dai piedi verso alto. Tu dici Buenos dias e lui quasi si sorprende. Passi. Lui continua con la scopa.
Dal fruttivendolo non ti fermi a comprare le fragole. E' tardi e le signore si accalcano all'entrata.
Il treno della metropolitana arriva bofonchieggiando mentre tu scendi le scale, di fretta. Ti dici "non c'è fretta, ce la faccio" e infatti ce la fai. Sali ti siedi vicino al finestino. Il vagone è mezzo vuoto, nei quattro posti paralleli al tuo è seduto solo un signore, lato finestrino, con una fasciatura al piede e una stampella. Viso perso nel vuoto, come ogni passeggero di metro.
Sei lì seduta, senza verve. Man mano che il treno avanza ti perdi nei tuoi pensieri, sei così persa che non sai nemmeno cosa stai pensando. La spugna è ancora turgida. Le emozioni sono lì, non bollono più ma ondeggiano sotto la superficie.
Rinvieni per un secondo, noti come sia tu che il signore siete già in Modalità Metro, completamente alienati. Il secondo è passato e ti allontani di nuovo.
Ciùciù, chafchaf, jajajaj, bobobobo, fotfotfot, SPATAPALASH.
Bambine e bambini sui dieci anni, vocianti e di corsa si accalcano nel quadrato tuo e dell'uomo e lottando per un posto si siedono in sette nei tre posti liberi del tuo quadrato. Le prime due sono donne. Una bambina morena, alta e magra, con il codino alla Mimì Ayuara, gli orecchini un punto brillante sulla pelle giovane, una catenina d'oro sottile, una tuta di buona qualità, occhiali da vista alla moda e un sorriso che incanta. Ti guarda un istante e tu in quell'istante sorridi a lei, alla sua giovinezza e al jaleo allegro di quel gruppetto che porta le emozioni della vita di nuovo a contatto con la spugna. La bambina bionda, mingherlina mingherlina e bassina dice un timido Hola e si apre in un sorriso gioioso quando tu sorridendo le rispondi con voce squillante Hola. La comitiva è ora adagiata nei posti. Parlano, guardano foto su una macchina digitale, si fotografano tra loro, finché tu non ti accorgi che il contatto con quella vita fa gocciolare la spugna, che è già troppo piena. E vedi che la piccola donna morena di dieci anni guarda quell'emozione che scorre sul tuo viso sottoforma di acqua. Poi cerca un momento in cui tu non guardi (o in cui lei crede che tu non guardi) per mettersi una mano davanti alla bocca e seminascodersi dietro l'orecchio della bambina bionda e sussurrarle qualcosa all'orecchio. La bambina bionda ti guarda. Tu ti accorgi che non devi piangere davanti a quelle creature che ancora non conoscono la vita. E ricominci a sorridere, chiedi al bambino grassottello alla tua destra dove vanno. Al zoo, ti dice un po' titubante. Sicuramente a casa gli hanno detto di non parlare con gli sconosciuti. La comitiva ripende a vociare. Poi a un certo punto ti accorgi che piangi di nuovo e che anche un altro bambino appoggiato con i gomiti allo schienale delle bambine ti guarda. Capisci che non puoi attivare la diga a quel fiume. Allora ti alzi, quasi dimentica di loro, solo li vedi perché è da loro che ti nascondi. La bambina bionda pronuncia un Adeu deciso quando ti vede alzarti ed entrambe le bambine ti sorridono, come per darti coraggio ma hanno un'ombra negli occhi. Tu ti accorgi che sei stata maleducata ad andartene così, ti rigiri a metà e dici con un sorriso forzato Adeu, avendo cura di lasciare il viso seminascosto alla loro vista.
Non è la tua fermata. Ti appoggi lì a uno schienale, di spalle a loro. Gli adulti di fronte possono tranquillamente vedere le tue lacrime. Nessun trauma per loro a quella visione. Infatti nemmeno se ne accorgono. Tu sei solo uno dei mille volti che incontrano nelle loro giornate. Finalmente il treno si ferma.

E tu ricominci la corsa verso la tua routine.

giovedì 10 dicembre 2009

Al matì em llevo als tres cuarts de vuit

Certe mattine ti svegli e guardi intorno a te. E per qualche motivo quello che vedi non ti piace. È che forse la sera prima te ne sei andata a dormire con quella sensazione che quello che avevi provato nei giorni precedenti poteva essere un'apparenza. Qualcosa ti ha reso triste ieri. Stamattina quindi ci hai messo del tempo per riuscire a renderti conto, come normalmente fai la mattina, che sei fortunata. ad avere un tetto. un letto caldo. sorrisi. e altro.

Mentre scendevo le ripide scale del palazzo antico e guardavo con gli occhi verso il basso le mattonelle rosse, quelle di una volta, che ora non ci sono più, graffiate dagli anni, ho pensato alle scale che ho sceso e salito. Ai portoni, di vetro e ferro, agli ascensori -dove c'erano-, ai citofoni, alle voci che rispondevano ai citofoni. Ai "Benvenuta nella nostra casa", ai sorrisi di chi mi aspettava felice di vedermi e a chi chiudeva la porta dietro di me domandandosi già quando ci saremmo rivisti di nuovo. Ho pensato alle città.

Finita la scala, passato il portone, la strada mi attendeva densa già di gente e automobili. Odore di città widely spread. Ho girato a sinistra, nei vicoli da paesino di collina con i palazzi bassi e quella sensazione di famiglia, calore, casa accogliente, amore. Il mio vicolo scendeva verso il basso, verso la costa che si affaccia sullo stesso mare su cui sono nata. Chissà se mia madre dalla finestra della cucina guardava quel mare. Io scendevo, pensando a quella strana vena di tristezza e alla differenza tra l'essere di destra e l'essere di sinistra.

I blue-jeans che sono un segno di sinistra
con la giacca vanno verso destra
il concerto nello stadio è di sinistra
i prezzi sono un po' di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
I collant son quasi sempre di sinistra
il reggicalze è più che mai di destra
la pisciata in compagnia è di sinistra
il cesso è sempre in fondo a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
La piscina bella azzurra e trasparente
è evidente che sia un po' di destra
mentre i fiumi, tutti i laghi e anche il mare
sono di merda più che sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Può davvero condizionare la tua vita il fatto, ad esempio, di avere un compagno di destra, anche se tu ti senti inevitabilmente di sinistra, se credi nell'assistenza medica gratuita, nelle uguali possibilità per tutti, nell'ingiustizia di una società in cui i ricchi possono studiare di più e meglio dei poveri, dove la gente viene giudicata per come veste? Può?

Ai posteri l'ardua sentenza, diceva il poeta.
Camminavo per il mio vicolo, senza davvero cercare una risposta alle mie domande, quando di repente vedo comparire da dietro a un palazzo modernista verdamente e florescamente decorato timido, ma caldo e giallo più che mai, l'invernale raggio di sole che martedì cercavo disperamente nelle piazzette di Gracia senza troppo successo.
Scendevo in quella direzione, accecata dalla luce eppur felice. Scendevo, scendevo sempre di più. Il sole come stella cometa sul mio cammino.
Poi i palazzi diventano più alti e la geometria squadrata. Sono sul marciapiede a mano derecha e scendo. Incrocio quel pezzo di Carrer Provença dove la carreggiata è divisa in due da uno stand del bicing. Mi giro di un centinaio di gradi verso destra, il raggio di sole si è infranto contro i comignoli della Pedrera, che vedo da dietro, ma pur frantumato come tra gli infiniti angoli di un prisma mi chiama, illuminando il roccioso Gaudì del suo giallo brillante color bianco d'uovo.

Scendo, scendo, scendo, e passo –di nuovo- davanti all'albergo dove il nero con i capelli brizzolati vestito come un dipendente d'hotel da film americano, con palandrana rossa dai giganteschi bottoni dorati, mi saluta con entusiasmo come se fossi un cliente o qualcuno che aspettava che passasse. Non passo di lì tutti i giorni. E quando è lì a salutarmi ho ogni volta quella sensazione che mi aspettasse.
Il raggio di sole non c'è già più e il suo abbraccio caldo è ora diventato umidità squadrata dell'esciampla. Il mio umore è statico. Mando un sms. Un sms di sinistra. A cui il destinatario di destra non ripsponde.



Mentre seguivo il raggio di sole nelle mani avevo una busta rossa, con dentro un pacchetto rosso e un'etichetta arancione con la scritta bianca Natura. Il topo di plastica che è lì dentro non ha niente di naturale. Un omaggio al capitalismo. Come tutta la mia vita d'altronde. Si può essere di sinistra in una società di destra? Pace all'anima delle vecchine.

Ora guardo siti di storia per capire se la dittatura di Hitler era di destra o di sinistra. E scrivo a voi i miei pensieri.

ti porto in dono un raggio di sole per te
un raggio di sole per te
che cosa pensi tu

lunedì 22 giugno 2009

Voglia di piangermi addosso

stasera ne ho.
So che la vita puó essere bella, peró ora mi sembra che non ci sia speranza per me. Tra una cazzata e l'altra sono arrivata adavere 33 anni e a sentirmi disperatamente sola.
Tutti fanno sesso e tutti si innamorano. E io qui, sola, dentro una stanza e tutto il mondo fuori...

domenica 21 dicembre 2008

figlia di famiglia

il senso di pienezza, completezza, amore e comprensione totale che si impossessa di me quando torno a casa è qualcosa che mi sorprende.
mi sorprende il modo in cui, dopo un volo di un'ora e tre quarti e un'oretta di treno, l'aria di mare di una piazza il cui limite sono gli alberi di barche con vele ammainate nel molo mi restituisca la me stessa di sempre.
senza lotta alcuna, una porta chiusa di un ripostiglio dentro il mio corpo si apre e lo sgabuzzino di sentimenti ed emozioni si trasforma in un salone a cielo aperto di amore, cura degli altri, abitudini passate non più esistenti ma amate e conservate con cura che ritornano come il ciclico tic tac dell'orologio, implacabili e ben accolte.
mi sorprende il modo in cui una donna autoconsapevole si riappropria del suo essere di ragazza nonostante o grazie all'esperienza che rende il suo passo più sicuro, i suoi ricordi più forti, i suoi sentimenti espressi a voce più alta, il suo punto di vista più alto, il suo sguardo più curioso, il suo giudizio più benevolo.

mi sorprendo e gioisco della vita.

martedì 23 settembre 2008

la mercè

Domani è la mercè. Concerti in tutte le piazze.
Non per me, alle prese con zaino e preparativi.
Quattro cose. Mi porto più cose quando vado a fare trekking che per questo mini-viaggio.
Più cose quando vado alla spiaggia.

Non vedo l'ora. Sono emozionata. Ma non solo di un'emozione bella. Mi prende un po' di tristezza anche. Pensando che il passato è il passato. E che domani è un giorno importante. O che almeno lo era fino a qualche anno fa.

sabato 9 agosto 2008

persone che amo

è bello avere vicino le persone che ami.
Emozioni incredibili all'arrivo e durante il tempo insieme.
Ma poi la percezione che rimarrai di nuovo sola, quando se ne saranno andati.
Sangria e chiacchiere. Regali e sorrisi.

Amore e giri.

Oggi l'ex uomo della mia vita mi ha detto che aveva pensato che volessi tagliare i rapporti con lui... perché non lo contatto molto e in genere quando parliamo vado di fretta.

Mail scambiate con qualcuno con cui sono stata bene, hace mas que un mes now...
Un po' harta delle mail.

Sonno. Sueño.

domenica 6 aprile 2008

Di me

Weekend pieno, nonostante volessi riposarmi.
Weekend con un po' di tutto. Conoscenti della mia città. Serata con le due persone più prossime che ho qui. Nuove conoscenze. Una più delle altre. Pelle scura e un sorriso radioso. Vitalità e sicurezza. Ottimismo e serenità. Il mio stesso lavoro ma in una formula diversa. Quattro anni meno di me. Coraggio e vitalità. Coscienza e determinazione.
Era un sacco di tempo che non conoscevo qualcuno e pensavo: questa persona mi piace senza riserve.

E mi dà serenità vedere che in fondo qualcosa di buono c'è. A parte il sole e quadri che sembrano fotografie.
Mentre già mi preparo mentalmente e fisicamente per il prossimo fine settimana. Scogliera in campeggio, la prima e ultima volta è stato 13 anni fa ed era estate. Ed era vicino alla spiaggia. Questa volta in montagna. Mi sento come una bambina al primo giorno di scuola. E Venditti che canta Bomba o non bomba.
E intanto i blogger manifestano tristezza primaverile. Energia frustrata. Disillusione.
E mi dà serenità la mia barretta choco naranja di cereali, e un minuto e 5 secondi a telefono con mia madre, per vedere che stia bene.
E il sonno che mi prende, le palpebre che si chiudono di tanto in tanto, conseguenza leggittima delle ore piccole di venerdì e sabato, e della sveglia forzata di oggi. E l'articolo "Guia pratica y eficaz para dormire de un tiròn" che mi guarda da una pagina di "Saber vivir" appollaiato tra le lenzuola, nel posto eternamente vuoto del mio letto matrimoniale. Lenzuola arancioni. E tea candles all'arancia accese sul comodino. E la mia lampada nuova da sei euro comprata da muy mucho la settimana scorsa. E il PC in grembo.
E P. solo un ricordo e una consapevolezza. E un affetto autentico. E conoscenza vera.
Ce la farò, ce la faremo, compagni bloggers.

... e lo shuffle che shuffleggia questo...

mercoledì 13 febbraio 2008

Mio nonno

Nonno Rino era del 1910. Era del segno dei gemelli, ma io questo l'ho scoperto solo da grande.
Nonno Rino per me è un sorriso. E una carezza sulla testa di Wisky e una sulla mia.
Eravamo alti uguali io e Wisky, solo che Wisky si estendeva in lunghezza, con le sue 4 zampe e la coda pelosa. Anzi forse Wisky era un po' più alto di me. Anche se era più piccolo credo, ma non ci giurerei, non capisco molto di età dei cani. Eravamo grandi amici. Giocavamo a nascondino. Io mi nascondevo dietro la poltrona di pelle azzurra e lui infilava il muso dietro la spalliera per trovarmi.

Nonno Rino era in pensione e aveva molti hobby. Allevare colombi bianchi nella colombaia sulla grande terrazza al settimo piano di Via LP. Coltivare pomodori e altri ortaggi in grandi vasi sulla medesima terrazza. Martellare chiodi nel misterioso sgabuzzino, pieno di viti e attrezzi, annesso alla grande terrazza. Collezionare le schede degli animali. Prendersi cura della sua prima nipotina.
Per quella nipotina la terrazza del nonno, Wisky, i colombi, la grande pianta di pomodori che si arrampicava sulla ringhiera e la coppola di tela bianca del nonno costituivano non solo l'attività principale dei lunghi pomeriggi estivi ma soprattutto un luogo incantato, in cui tutto era permesso e in cui l'amore era al centro di tutto.
A Scogliera bambina il nonno aveva insegnato a prendere i semini contenuti in quei contenitori che sembravano noci di cocco svuotate e a portarli ai colombi bianchi appollaiati nella loro gabbia gigantesca in cui potevano entrare anche le persone. E aveva insegnato a salire in modo da vedere le uova del colombo che stava più in alto. E a mettere la mano nella cassetta, e le aveva fatto sentire l'uovo caldo, cosi bianco. "Nonno, ma le uova dei colombi si mangiano come quelle delle galline?" "Nonno, perché i colombi bianchi sono nella colombaia e i colombi grigi sono liberi?"
Sì, mio nonno gettava il mangime su tutta la terrazza e i piccioni arrivavano dal cielo. Era sempre grigio il pavimento della terrazza. E io passavo il tempo a rimirarli. Anche quando andavamo ai giardinetti e il nonno portava il pane. Io guardavo il collo dei piccioni allargarsi e poi deglutire, osservavo la curva della gola, e l'occhio fisso sui lati, mentre il becco andava dritto alla meta. Il nonno con una mano teneva "il bastone del nonno" e con l'altra teneva la mia manina. Mentre scendevamo le scale del sottopassaggio che da Via LP portava ai giardinetti io gli guardavo le mani. Scure con pelle spessa e secca, e grandi macchie marroni.
"Mamma, perché il nonno ha le macchie marroni sulle mani, che cosa sono?"
"Sono macchie di vecchiaia."
L'ultimo Natale, a casa, mia madre aveva una macchia marrone sulle mani. E io ho pensato: la mano del Nonno Rino.

Oggetti del nonno Rino:
La sedia di legno marrone scuro, con i braccioli a forma di tarallo. Io e mia sorella, quando mio nonno non c'era o dopo la sua morte, facevamo a gara per sederci su quella sedia. Non ne ho mai più viste di simili, ma un tempo doveva essere un tipo si sedia molto comune. Quando mia nonna decise che era giunto il momento di buttarla, mi sembrò che un pezzo di vita se ne andasse. Ma ora scopro che quella sedia è qui con me.
Il cassetto del guardaroba/specchiera che stava nell'ingresso, contenente le palline di gomma che rimbalzavano, simili alle palline antistress di oggi, ma di una gomma meno lucida, meno moderna e molto scolorita. Gialla rossa blu.
Un tiradadi nero con coperchio giallo (un po' come un portarullino) e due dadini di plastica azzurri.
Il giradischi. Con la cassa esterna di plastica verde rigida, doveva aver visto la guerra. In quel giradischi metteva i dischi per me. Heidi, Mi scappa la pipi, I suonatori di Brema (con la copertina di carta azzurra e la scritta rosa "la banda dello zecchino"). E il magico disco con i versi degli uccelli, che ascoltavo seduta sulle sue ginocchia mentre mi sbucciava le fave.
Il calendario a dadini di legno. La filastrocca sui mesi: 30 giorni a novembre, con aprile, giugno e settembre...
La foto di Zio Tonino, figura mitologica che non ho mai avuto il piacere di conoscere. Il fratello maggiore di mio nonno. Ho conosciuto la moglie, lei sì che me la ricordo. Lei e le sue stranezze.
I televisori e relativi mobiletti.
Una volta morto mio nonno e gettati i televisori causa inutilizzabilità io e mia sorella, anche detta "a patanella ru nonn", li utilizzavamo come se fossero stati pattini da mettere sotto la pancia (in realtà noi dovevamo arrampicarci su quei mobiletti (i carrellini, li chiamava mia nonna) e ci giravamo per tutta casa di mia nonna, la quale ci urlava dietro perché aveva dato la cera. E ora che ci penso era in uno di questi strani "mobiletti" che erano riposte le palline e i dadi.
Beh, a pensarci, se volessi descrivere tutti gli oggetti e i ricordi ci vorrebbero anni.
Avevo solo 6 anni (e [6] anni sembran pochi quando poi ti volti a guardare e non ci sono p), ma è incredibile quanto quelle cose siano profonde dentro di me, riposte in un angolo del mio cuore. Indelebili.
E le caramelle mou e i trasferelli.

Fino alla nascita di mio cugino. Il primo nipote maschio. Deve essere stato il primo attacco di gelosia della mia vita. Per la prima volta mio nonno, mio indiscusso ammiratore, aveva comprato una gallinella in latta colorata, di quelle a cui si dava la corda per farle camminare, al bimbo che per volontà di mio nonno non si chiamava come lui. Ricordo mio cugino con meno di un anno scorrazzare nel girello per tutta la casa... che già non era più quella con la grande terrazza, in cui già più non c'era il cane...
I miei nonni erano stati sfrattati, proprio nel periodo in cui mio nonno aveva scoperto di avere un tumore al polmoni.
Poi morì. E io risi per due giorni quando me lo dissero.
Pare che io arrivai alla porta della stanza di mio nonno morente proprio nel momento in cui lui stava esalando l'ultimo respiro. Una porta di vetro chiusa. Erano le sette del mattino.
Non più capelli bianchi rasati a zero da accarezzare. Non più Kojac nel letto con lui né le fette biscottate con la marmellata. Né la tosse. Né mia nonna che si lamentava perché il nonno era dimagrito e che parlava del "dottorino" che lo veniva a visitare.
Uno scheletro in realtà era diventato. Ma gli occhi, per quanto sofferenti, sempre profondi e con un guizzo d'intelligenza e d'amore che balenava a tratti.

[suscettibile di modifiche]

25 anni fa

Ieri, mentre ero in ufficio mi sono accorta che era il 12 febbraio 2008. Ovvero 25 anni dalla morte di mio nonno. Mi sono detta, vabbè stasera scrivo un post su Nonno Rino (incredibile chiamo qualcuno con il suo nome vero), ma non l'ho fatto...



... Poi, poco fa ho letto il post di Viola e ho pensato "mio nonno non era marinaio", mio nonno coltivava i pomodori sul terrazzo, e mi faceva sentire i dischi con il canto degli uccellini, e mi leggeva le schede degli animali.

Sì perché in fondo io ero troppo piccola per capire che mio nonno era in pensione, e per capire che lavoro avesse fatto prima.


[segue]

lunedì 11 febbraio 2008

Pezzi di sorrisi, pezzi di canzoni


C'è qualcosa di più accogliente e vivificante della sensazione di infilarsi sotto il "nordico" con la "funda" pulita pulita, tutta azzurra, subito dopo essersi fatti una doccia calda ed essersi asciugati i capelli, con l'odore d'arancia del bagnoschiuma sulla pelle e l'odore della crema all'aloe vera che evaporano tra le lenzuola?

Ci sono le passeggiate in montagna con il sole caldo, anche se è febbraio, e chiacchiere e risa. E quaranta persone felici, anche se si conoscono poco. Che camminano su sentieri accidentati per raggiungere un castello cataro. E c'è il buffone del gruppo che trova modo di scandalizzare le donne, e ci sono i calÇots da mangiare in piedi, con il bavaglione attorno al collo bevendo dal porron, ridendo e parlando e insozzandosi tutti.

Ci sono i sabati mattina in piscina, all'aperto. Strana sensazione di libertà quella di nuotare in piscina con il costume olimpionico, occhialini e cuffia, ma all'aperto, su una terrazza enorme due metri più in alto della spaggia, con il mare che fa capolino da dietro alla ringhiera. E la gente stesa sui lettini, tutt'attorno alla piscina, a leggere, ascoltare musica, chiacchierare, con pareo e panini, proprio come se fosse in spiaggia in una domenica estiva. Ma non c'è la calura. C'è una brezza leggera, e il sole ancora deve riscaldarsi, si sta solo allenando. Ancora deve dare il meglio di sé. E ci sono le mie bracciate sull'acqua chiara, non troppo spessa, e c'è la ragazza che mi chiede "nadamos en ronda?"

E ci sono le amiche, quelle che si ricordano di te anche se sei lontana. Quelle che ti chiamano se pensano che tu stia male e quelle che hanno bisogno di te quando perdono il lavoro, quando il loro ammiratore degli ultimi mesi si trasforma in depresso cronico, quando un vecchio amore tornato alla mente impedisce loro di vivere il quotidiano.

E ci sono i ricordi. E c'è il futuro da qualche parte. Anche se non lo vediamo e non ne sentiamo l'odore, ha appena girato dietro il costone di roccia, e ora vola alto sul mare. Presto sarà qui, con il suo odore di oceano e di capelli scuri neri bagnati. O con un sorriso svedese.

E accompagnarti per certi angoli del presente che fortunatamente diventeranno curve nella memoria quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria!

domenica 7 ottobre 2007

Scene da un matrimonio

L'incubo che mi spaventava da mesi è passato.
Sono andata, ho sorriso, ho detto "auguri!", "Ciao, quanto tempo, come stai?" e ho incassato.
Ho incassato facce, conversazioni e commenti di gente insulsa e maleducata.
Ho perfino partecipato al lancio del bouquet, tradizione per me tribale e insulsa. Ci sono stata costretta, visto che la mia amica che si sposava ha insistito. Mentre mi recavo nella zona predestinata a questo rito arcaico ho chiesto a un ignaro ospite che senza conoscermi insisteva perché io andassi a partecipare "Ma poi perché solo le donne?". Risposta: "È risaputo ce voi donne volete sposarvi, e noi uomini no".
All'anima del terzo millennio, del progresso, dell'emancipazione femminile etc.
D'altro canto se ragazze venticnquenni vanno ai matrimoni vestite come vallette televisive, cosa possiamo pretendere?

La verità è questa: se una donna di più di trent'anni si presenta a un evento sciale senza un accompagnatore vene socialmente considerata una mentecatta e una mangiauomini, per cui viene ghettizzata dalle "mogli" ai tavoli dei single ai matrimoni, le quali mogli fanno anche notare agli astanti che tu sei relegata al tavolo dei single perché devi fare acchiappanza.
Ora, trovo oltremodo offensiva l'idea che una donna che è sola, per scelta o per i casi della vita, debba essere considerata insoddisfatta o a metà, che si creda che debba colmare un vuoto e che avverta quel vuoto come prepnderante nella sua vita, che si senta a metà non solo perché non ha un uomo. D'altro canto pensano che anche se una donna ha un uomo è incompleta se non è sposata.

Pensate che siano gli uomini a pensare tutto ciò? Mi sembra in realtà che gli uomini siano più progressisiti delle donne, quelle donne che si sentono incomplete senza un fede al dito ma che poi si atteggiano a femministe, ma intanto non escono di casa senza il mascara.

Io per parte mia, mentirei se dicessi che al momento non avverto l'assenza di un compagno nella mia vita. Ma si può davvero pensare che io vada alla ricerca di uomo al matrimonio di una mia amica? Si può davvero pensare che io sia così disperata da attaccarmi ai primi quattro "mamozzi" che mi mi si presentano davanti? Tanto più che quei tipi erano anche amici dello sposo, persona con la quale notoriamente non ho nulla in comune... perché dovrei avere qualcosa in comune con i suoi amici?

Detto ciò il secondo punto. Perché la gente deve essere così cafona da non farsi mai i fatti suoi, da far vedere sempre e comunque che conosce fatti privati della tua vita, di cui tra l'altro tu non hai parlato né con loro, né con la maggior parte delle persone, fatta eccezione per alcuni amici stretti, tra cui la giovane che convolava a nozze che evidentemente non si sa tenere un cece in bocca (ma lo sapevo già, per un altro episodio già accaduto tempo fa...).

Tutto ciò ha solo ingigantito dentro di me la voglia di evadere da questa città. È vero, non ci voglio stare qui. Voglio intorno a me gente che rispetti l'autonomia e l'individualità degli altri.

Ancora alla ricerca del mio posto nella vita... Ce la farò?

martedì 2 ottobre 2007

Varie ed eventuali

La nullafacenza un po' ti abbatte. Non che non avrei cose da fare... oggi ho smaltito le fatture arretrate e mandato un po' di mail, di lavoro e non.

Poco fa pensavo che questo strano umore potrebbe provenire dalla mia percezione fisica di questi giorni che l'estate è finita e l'inverno si appropinqua. Le giornate sono più brevi e la gente lavora come le formichine, tutto il giorno, poi alla fine dell'orario di ufficio inonda strade e mezzi di trasporto, bar e negozi per il meritato riposo.

Quest'estate sono stata così contenta di vivere l'estate mediterranea che pensavo sarebbe durata per sempre. E devo dire la verità, qui durante le ore diurne il sole è davvero caldo, solo al tramonto si sente il fresco. E invece no "l'estate sta finendo"...

****************
Ieri dopo tanto tempo sono andata a Napoli. Erano almeno due anni che non ci andavo. E sono almeno 5 anni che ho smesso di lavorare lì...
Mi è sembrata più pulita, hanno ridipinto molti palazzi, ma Piazza Garibaldi e Piazza Borsa sono ancora cantieri.
L'aria tuttavia è pesante. All'altezza del mio naso (almeno 165 cm da terra) si annusava lo smog, come fosse veleno, anche quando non si è in prossimità di strade trafficate.
Via Benedetto Croce è ancora il mio posto preferito, e nei vicoli in prossimità dell'università c'è ancora un altro mondo, fatto di pizze e parigine* e negozi orientali supereconomici. Piazza San Domenico si animerà fra un mese suppergiu, con tutte le bancarelle degli artigiani no global, assieme al prossimo vicolo di santa Chiara. E la vita si ripete.
A Palazzo Corigliano gli addetti alle pulizie spazzavano lo scalone che ho percorso di corsa migliaia di volte, con l'ansia dovuta al dover affrontare qualcosa che sembra difficile ma a cui si tiene tanto. Con la soggezione dovuta alle ampie sale, alla storia che filtrava ad ogni angolo, ad i libri polverosi e usurati che giacciono negli scaffali. Con la consapevolezza che il suolo su cui sorgeva il palazzo era secoli fa calpestato da uomini che parlavano un'altra lingua e la cui cultura è stata la base della nostra attuale.

Ho preso lo stesso autobus che prendevo quando lavoravo lì. Alla stessa ora. E la cosa incredibile è che dopo 5 anni alcune delle facce erano le stesse.
Io ho cambiato lavoro tre volte da allora, ma quelle persone trascorrono ancora otto ore della loro vita in un'altra città. E percorrono un congruo numero di chilometri ogni giorno, e quando tornano nelle loro case è già buio.
Pare che questa sia la vita. E pare che io sia l'unica che non lo accetti. Scogliera la ribelle. Scogliera, che negli ultimi 7 anni ha vissuto in 4 diverse città. Ha cambiato lavoro... vediamo... 5 volte... beh sempre lo stesso tipo di lavoro... Scogliera a cui mancano i suoi amici che vivono sull'Atlantico o quelli che vivono dall'altra parte del Mediterraneo. Scogliera che sente una forte nostalgia dell'uomo che vive sull'adriatico... Scogliera, quella lì, il "bicho raro"... che vive tutto con pathos, come diceva la mia catechista quando ero ragazzina...

Parlavo di Napoli. Sono stata per la prima volta al Vomero. Sì, da non credere, dopo tutto il tempo speso a Napoli, per sette anni suppergiu, in realtà non ero mai stata al Vomero. Non sono mai nemmeno stata a Posillipo a ben pensarci. Beh la vita del pendolare... quella di cui parla Grechi ne Il mio cappotto. Il Vomero mi ha ricordato Madrid. Ma un po' più fighetta. La gente era tutta tirata a lucido, uomini incravattati e donne superfirmate dalla testa ai piedi. Perfino la FNAC è più "pereta" di quella delle altre città.

* La "Parigina" è una specialità gastronomica che ho buone ragioni di credere esista solo a Napoli. Nella mia città non esiste e se esistesse avrebbe probabilmente un nome diverso, qualcosa come Focaccia prosciutto e pomodoro. Ma una parigina è molto più di una focaccia, soprattutto perché il coperchio della focaccia è in realtà fatto di pasta sfoglia e non della pasta della pizza. Quando a 18 anni ho cominciato a frequentare Napoli, la parigina è stata la mia prima passione. Beh anche la montanara e il panino napoletano non sono male, ma per quelli mi servirebbe un altro post. :-)

domenica 23 settembre 2007

"Come del resto alla fine di un viaggio c'è sempre un viaggio da ricominciare"

Un viaggio è finito, un altro ricomincerà.

Concretamente e in modo figurato.

Qualche giorno fa, mentre ero a Madrid, chattavo sul messenger con l'uomo col cellulare nuovo il quale compie gli anni a breve: io gli ho chiesto se avrebbe festeggiato e lui mi ha detto che una ragazza con cui sta uscendo gli prepara una festa, cosicché lui non sa nulla sulla festa...
Sono scoppiata a piangere.
Ero a Madrid in un internet point con la mia amica pesce gelatina la quale in realtà non sa molto di tutta la storia e non mi conosce troppo. Credo sia riasta abbastanza di sasso, cercava di essere carina e dolce ma non è che sapesse troppo cosa stava succedendo.

A volte le emozioni ti aggrediscono e tu non sai bene cosa fare/dire/pensare...

Poi mi è passata, avevo bisogno di sfogarmi immagino... e... voltare pagina... forse... credo...